Le limitate risorse a disposizione nella manovra finanziaria potrebbero non consentire al governo, presieduto dall’on. Giorgia Meloni, di attuare una riforma delle pensioni significativa per il 2024. Ma, se Palazzo Chigi restasse inerte, dal prossimo anno troverebbero applicazione le regole generali previste dalla legge Fornero, che fissano a 67 anni l’età per la quiescenza lavorativa. Per scongiurare questa eventualità, si profila la possibilità di una proroga annuale della quota 103 (che scadrebbe il 31 dicembre 2023), la quale consente di andare a riposo con almeno 62 anni di età e 41 di contributi. Il governo sta quindi valutando la proroga di un ulteriore anno della quota 103 che, secondo le previsioni, costerebbe poco meno di 600 milioni di euro nel 2023. Questo importo è notevolmente inferiore rispetto al meccanismo proposto da tempo dalla Lega, denominato quota 41, che permetterebbe il pensionamento con 41 anni di contributi, indipendentemente dall’età anagrafica. L’ipotesi sostenuta dalla Lega richiederebbe un finanziamento di circa quattro miliardi di euro nel primo anno di applicazione. Tuttavia, questa cifra risulterebbe eccessivamente onerosa per una legge di Bilancio con un budget di circa 25 miliardi di euro, finanziata per oltre la metà attraverso il deficit. È dunque probabile, quindi, che nel 2024 si potrà accedere alla quota 103, esattamente come avviene ora, e come è possibile fare fino alla naturale scadenza della legge fissata per la fine dell’anno. Ricordiamo che anche per il 2024 per i lavoratori precoci (ossia coloro che hanno versato almeno 12 mesi di contributi prima del compimento dei 19 anni di età) si potrà fare richiesta per la quota 41. Questa particolare categoria di lavoratori potrà, quindi, andare in pensione senza il requisito anagrafico dei 62 anni di età, ma semplicemente soddisfacendo il requisito contributivo dei 41 anni. L’importo previsto dalla manovra per l’intero capitolo della previdenza ammonta a uno o due miliardi di euro. Questi fondi potrebbero essere utilizzati non solo per la proroga di quota 103, ma anche per l’eventuale estensione di un altro programma anticipato, l’Ape sociale. Quest’ultimo è destinato a coloro che hanno almeno 63 anni di età e 30 (o 36) anni di contributi previdenziali e che svolgono lavori gravosi, sono disoccupati o affrontano gravi problemi di salute. Infine, altre novità potrebbero arrivare per le lavoratrici donne, in particolare si profila l’ipotesi della c.d. “Opzione donna”. Tuttavia, dopo le restrizioni applicate l’anno scorso, questa opzione potrebbe essere accantonata e rimpiazzata da sistemi meno onerosi per lo Stato, che possano meglio supportare coloro che si trovano in situazioni di disagio personale o familiare, come, ad esempio, la nuova proposta di quota 84, ovvero una pensione anticipata riservata alle donne che permetterebbe di ritirarsi con 64 anni d’età e 20 di contributi. In merito a tale questione, la nostra redazione ha chiesto un parere all’ottimo esperto delle leggi previdenziali, nonché noto sindacalista, Carmelo Bellò (nella foto), ex funzionario dell’Inps (Istituto nazionale della previdenza sociale), molto conosciuto a livello regionale, ma in modo particolare in tutti i cinquantotto Comuni della città etnea, dove riveste le funzioni sindacali alla Cia (Confederazione italiana agricoltori) di Scordia, suo paese natale, ed a Catania, il quale afferma: <<Oggi, alcuni partiti, in modo cinico e solo al fine di procurarsi un consenso elettorale temporaneo, strumentalizzano i bisogni di molti lavoratori suggerendo oscene proposte per riformare le norme sulle pensioni senza curarsi delle conseguenze economiche derivanti dall’incremento del deficit del bilancio pubblico. Ribadisco il solito mantra: è il lavoro dignitoso che garantirà l’erogazione delle prestazioni previdenziali a misura d’uomo. I governi della nostra Italia devono pensare a creare sviluppo nel mondo del lavoro garantendo l’occupazione che finanzierà qualsiasi riforma pensionistica. Non potendomi dilungare molto, mi corre l’obbligo evidenziare, in pillole, alcuni punti importanti e vitali per una buona previdenza: a) l’Inps deve ritornare ad essere gestita, nelle scelte “politiche”, dai sindacati dei lavoratori e dalle rappresentanze datoriali e non esclusivamente da alti e freddi burocrati, non tradendo così lo spirito originale della fondazione dell’Ente. L’Inps spesse volte gestisce miseria e dispersione. Solo una cultura confederale può capire tali tematiche ed operare di conseguenza nel rispetto delle norme di legge. b) La legge 335/95 (detta legge Dini), tra l’altro, ha previsto l’eliminazione dell’integrazione al trattamento minimo della quota di pensione ai lavoratori con inizio assicurativo a far data dal 1° gennaio 1996 in poi. Per la Sicilia, per tutto il meridione d’Italia ove la precarietà lavorativa fa da padrona, il mancato riconoscimento della citata integrazione sulle bassissime pensioni in godimento, nata nel 1952, crea e incrementa in modo esponenziale la povertà in molte famiglie senza soluzione di continuità. Mia personale riflessione e proposta “cantierabile” a codesto giornale: perché nel nostro territorio per le sue criticità socioeconomiche, la Gazzetta del Calatino non si adoperi per promuovere incontri sulla futura previdenza invitando i relatori a fare pochissima analisi ma tante proposte utili sui vari aspetti della previdenza pubblica? c) Il punto b) mi porta a parlare della separazione dell’assistenza dalla previdenza per garantire le prestazioni da lavoro. I fondi derivanti dalle contribuzioni dei lavoratori e dei datori di lavoro, infatti, sono impiegati secondo il criterio della c.d. “ripartizione” (che consiste nel finanziare le pensioni, le indennità di disoccupazione, della mobilità, della Cassa integrazione guadagni, della malattia ecc…). Ma nel rispetto delle leggi sulla previdenza pubblica, questo unico binario potrebbe essere utilizzato, in esclusiva, per il mondo del lavoro. Mentre, per sovvenzionare le provvidenze assistenziali, cioè assegni sociali, invalidi civili, maggiorazioni sociali ecc., il relativo finanziamento, che a oggi, ripeto, è ricavato dagli stessi fondi destinati alla previdenza, potrebbe ricavarsi attraverso una mirata tassazione da parte dello Stato. Ripeto ancora. Considerato il problema universale della previdenza pubblica, è necessario garantire le future generazioni in questa materia, pertanto, è di estrema importanza programmare scelte politiche con un solo obbiettivo: salvaguardare i finanziamenti della previdenza tutelando sempre le prestazioni da lavoro, a prescindere da calcoli puramente elettorali. In ultimo, la tirannia del breve spazio disponibile non mi consente di esprimere il mio modesto parere sulla legge Fornero del 2011 con riguardo alle pensioni anticipate, spezzando qualche lancia a favore della professoressa Fornero, tanta vituperata da molti politici incoerenti>>. Urge una riforma delle pensioni molta significativa e, quindi, bisogna che si affronti seriamente e responsabilmente questo spinoso tema attraverso dei confronti tra le istituzioni del Paese e le organizzazioni sindacali, affinché si possa addivenire ad una degna riforma del sistema pensionistico.
Alfio Agati